Rispetto alle istituzioni sociali che oggi consideriamo esemplari (a cominciare dal diritto), le lingue sono diverse, una istituzione sans analogues. Nella vita semiologica delle lingue, l’istituzionalizzazione che esse hanno donato ad altri aspetti della cultura non si ritrova. Mentre le altre istituzioni hanno forti apparati di sostegno (vivono la vita di una democrazia rappresentativa, in cui il momento repubblicano prevale su quello democratico), la vita delle lingue è popolare, diretta, plebiscitaria, e per questo la lingua può apparire a Barthes sia l’istituzione più democratica, sia quella più fascista. Stupiamoci, per favore, di quanto pochi e inefficaci siano gli apparati esterni delle lingue: Accademie, grammatiche e dizionari svolgono un ruolo marginale, e lo stesso apparato scolastico dell’educazione linguistica non configura un vero sistema di sanzionamento della standardizzazione, né lo potrebbe. Le lingue devono funzionare da sole come istituzioni, quasi senza apparati esterni. E in esse, l’intervento della facoltà di linguaggio dell’individuo è sempre presente di fronte agli ambigui oggetti materiali che sono i segnali.
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