La lingua che parliamo

Il titolo di questa relazione lo dice chiaramente: ognuno di noi, pur non essendo affatto al corrente di questa o quella teoria linguistica, nondimeno pratica assiduamente la lingua. Così, chiunque può entrare con una certa facilità nel vivo del discorso saussuriano. Poiché il pensiero di Saussure è in fondo un invito ad adottare un atteggiamento riflessivo – e quindi critico – sul modo in cui manipoliamo questa rete di segni. In particolare, il saussurismo ci conduce a capire che, lungi dall’essere soltanto «il vestito» del pensiero, la lingua determina l’accesso al pensiero. Mi propongo dunque di sottolineare in che senso, come ha detto spiritosamente Saussure: «la lingua, nel bagaglio dell’umanità, non è un articolo come gli altri». Cercherò di dimostrare che la lingua che parliamo ci propone un certo ordinamento del mondo, ci porta a costruire conoscenze di ogni genere relative sia a realtà esterne sia ai nostri strati d’animo, ci permette di identificarci come soggetti che occupano un determinato posto nei rapporti che stabiliamo con gli altri. Durante tutta la vita, ogni uomo fa incessantemente innumerevoli ricorsi alla lingua. È il motivo per cui Michel Bréal, precursore di Saussure per diversi aspetti e inventore della semantica, ha potuto stabilire che «ciascuno di noi è, in ogni istante, l’artigiano del linguaggio». Vale a dire che la lingua di una data collettività costituisce l’ambiente in cui ogni essere umano sarà condotto a svilupparsi, ad avere una vita sociale, a prendere decisioni e… a rispondere del suo operato. Così l’uomo, grazie a questa sorprendente capacità di reggersi sui segni per vivere, sembra potersi definire come un «animale semiologico».


Marie-Claude Capt, docente di Linguistica, Université de Genève