La lingua come totalitarismo anarchico

Ci sono due modi per fare una classificazione: o per complicazione, a partire da un’unità semplice posta come minimo comun denominatore, o misurando il grado di avvicinamento a un modello. Saussure utilizza quest’ultimo modo per presentare il campo della semiologia, che è quello delle istituzioni. Una teoria delle istituzioni su base saussuriana (preconizzata da Luis Prieto), dovrà dunque assumere la lingua come modello, e in questo modo potrà risolvere alcune contraddizioni in cui le teorie della realtà sociale e istituzionale oggi à la page – quelle su base searliana – non possono evitare di incappare. Per le sue condizioni di utilizzo, la lingua si propone come l’istituzione perfetta, quella che può permettersi di essere totalmente democratica e totalmente fascista: qualcosa dove tutti comandano e tutti sono comandati, allo stesso titolo, e senza possibilità di rivoluzioni. Nel mio intervento vorrei illustrare questa idea attraverso un percorso che passa attraverso Roland Barthes, Pierre Bourdieu e Ernesto De Martino, ma anche per mezzo di una lettura atipica del Diario romano di Vitaliano Brancati, personaggio cui l’adesione giovanile al fascismo ha conferito una lucidità straordinaria nel leggere i rapporti tra psicologia sociale e individuale che entrano in gioco nell’adesione a un regime totalitario. Gli elogi del bizantinismo (e della Svizzera, che del bizantinismo egli considera l’incarnazione) da parte di questo fascista pentito sono un buon punto di partenza per sviluppare analogie possibili (ma solo fino a un certo punto, perché la lingua è istituzione sans analogue!) con le istituzioni politiche.


Emanuele Fadda, ricercatore in Filosofia del linguaggio, Università della Calabria